Dalla cenere
“Devo fare qualcosa, ma non stanotte. Qualsiasi cosa decida, non stanotte.”
La luna era sangue denso e scuro, era un bicchiere di vino avvelenato da bere tutto in un sorso. E diamine, sembrava che l’avessi bevuto davvero, per come barcollavo. Grondava di goccioline rosse come l’inferno e riempiva la mia felpa nera dei suoi riflessi.
Un venticello fresco faceva ondeggiare le fiammelle sulle chiome degli alberi e mi soffiava sul collo. Tirai su il cappuccio per scaldarmi le orecchie. Mi appoggiai il violino sulla spalla e sollevai l’archetto. Per qualche istante lo strumento emise strepiti stonati, perchè non riuscivo a concentrarmi, ma poi la magia ebbe inizio. Le note diventarono farfalline leggere che facevano scivolare via i secondi come scintille di fuoco, come lapilli scoppiettanti che guidavano il mio cuore in una danza.
Se solo avessi fatto un passo avanti, il terreno si sarebbe sgretolato in una pioggia di frammenti che sarebbe precipitata nel dirupo. La punta del promontorio era troppo sottile per reggermi. Si affacciava sulla città, incoronata di fuoco come una regina. Ma ogni regina ha i suoi sudditi, ogni regina ha i suoi schiavi, e quegli schiavi eravamo proprio noi. Qualcosa mi fremette nel petto.
Anche restando lì dov’ero, il mio sguardo non poteva staccarsi dalla luna, e il suo dal mio. Avevo la schiena cosparsa di brividi ghiacciati. “Phoenix, questo è per te. Per favore, torna. Cosa maledizione vuoi fare, adesso che hai deciso di vendicarti?”
Ma ecco due ali di fuoco stagliarsi nel cielo e planare verso di me. La fenice si posò su una pianta cresciuta nel precipizio, a una decina di metri di distanza. La sua fiammella divampò, rigenerata dalla Dea, e avvolse tutti i suoi rami.
Anche il mio cuore iniziò a bruciare e battere più veloce. Smisi di suonare, ma il vento mi sfiorò il mento e me lo sollevò. “Continua, ragazzo. Non smettere. Non fare come quel giorno.”
Mi tremavano le braccia, ma ricominciai. Buffo, no? Da quando ascoltavo il vento? Ma non era per niente buffo, e non fu buffo neanche quando le lingue di fuoco nelle ali della fenice iniziarono a danzare e avvolgersi in piccoli vortici. Più il mio sguardo le seguiva, più perdevo il controllo dei miei pensieri. La musica del violino si mescolò al crepitio delle fiamme. Ero leggero, ero pronto a seguire la fenice ovunque volasse. Infatti, in qualche modo, mi portò via.
La musica del violino iniziò a parlare. Non con una voce vera e propria, ma solo con le sue note: mi entrò nella mente e iniziò a muovere i miei pensieri, a plasmarli, a modellarli. Mi abbracciai i gomiti e cominciai a pizzicarli per risvegliarmi da quel brutto incubo. “Devo tornare in me, devo tornare in me!” Ma i miei movimenti diventarono lenti e cullanti, e mi allontanarono di più dalla realtà.
“Sei un ragazzo intelligente, Ethan, lo sai? Ci hai dato un’idea fantastica! “ La fenice rise. “ Vendicarci? E perchè no? Pensavamo di agire solo contro chi fabbricava l’antidoto, ma tu hai dubitato in noi, giovane insolente, tu ci hai mancato di rispetto. “
-E allora? Cosa conto io? Non potevate semplicemente togliermi dai piedi?
“No, certo che no. Sei stato la miccia che ha acceso l’incendio: dopo la tua scomunica, tutte le altre persone hanno iniziato a dubitare di noi e del nostro amore per la città. Ma noi non vogliamo uomini infedeli. “
La fenice si alzò dalla pianta e atterrò sulla punta del precipizio. Spalancò le sue ali, così vicina che il calore mi schiaffeggiava con colpi di brace. Sussultai. Cercai di scappare, ma non riuscivo a distogliere lo sguardo da lei e, correndo all’indietro, inciampai e caddi sulla schiena. La botta produsse un’esplosione di bruciore sulla mia pelle.
La fenice rise di nuovo. “Beh, scappa pure, se vuoi, ma non potrai salvare i tuoi fratellini e i tuoi genitori, quando faranno l’ultimo respiro nella loro città distrutta. Io e gli altri Dei aumenteremo le fiamme su Cartagine fino a che non si sarà sciolta del tutto, e i suoi abitanti moriranno insieme a lei! “
Scossi la testa. Una scia di sudore mi scese sulla fronte. – Non potete farlo! Chi vi nutrirà, poi?
Le fiamme assunsero la stessa espressione affamata dei suoi occhietti tondi. Il suo becco parve sorridere. ”Beh, innanzitutto ci faremo una bella scorpacciata delle vostre anime: mai visti così tanti morti in un colpo solo. E poi… Arriveranno nuovi abitanti dalle città vicine. Tanto, come una fenice, Cartagine rinascerà dalle sue ceneri. E diventerà meglio prima. “
Mi tirai su, mettendomi a sedere, ma una fitta mi scese nel petto. “Il mio violino…” Era ai piedi della fenice. Allungai un braccio verso di lui e mi trascinai sul terreno per raggiungerlo. Phoenix soffiò le sue fiamme più in là e lo avvolse in una fodera di fuoco: il suo legno crepitava e si consumava, quel legno che prima aveva usato mio nonno ed era passato a me, a me, che non me ne ero preso cura abbastanza…
Le grida mi spelarono la gola. – No, no! Come puoi essere così crudele, come potete… Vendicatevi su di me, ma non su tutte quelle persone innocenti! – Mi misi in ginocchio e giunsi le mani. – Ho sbagliato, è stata colpa mia, e sono pronto a pagarne le conseguenze. Ma per favore, per favore, risparmiate la mia famiglia e gli altri abitanti… I miei fratellini, almeno loro! Sono così piccoli, così innocenti…
Phoenix sogghignò e spiccò il volo. Si allontanò fino a ridursi a uno scintillio debole nel cielo. – Torna qua, ti scongiuro, ascoltami, io… – Mi sfuggì un singhiozzo. – Risparmia almeno i miei fratellini, i miei fratellini!
Le lacrime che mi scivolavano sulle guance erano salate, ma non mi avrebbero depurato, non avrebbero salvato Cartagine dal disastro che avevo combinato. Graffiai il terreno con le dita, ma non riuscii a scavare nella roccia del Dio Flint. Mi rannicchiai su me stesso e gemetti: avevo le unghie contornate di sangue. “Come una fenice, Cartagine rinascerà dalle sue ceneri.”
La luna continuava a sanguinarmi addosso. “Come una fenice, Cartagine rinascerà dalle sue ceneri.” Respiravo a fatica. “Ma noi non rinasceremo, per noi sarà troppo tardi. Maledizione!”
Il violino era ridotto a tizzoni ardenti e cenere, e lo scoppiettio del fuoco si era trasformato in un sibilo secco. Mi asciugai le lacrime con la manica della felpa, ma non smisero di scendermi sul viso.
– Tu sei Cartagine, Ethan. Rinasci dai tuoi sbagli.
Era la voce del nonno. Mi drizzai di scatto, con il fiato sospeso. – Nonno!
Mi guardai intorno, in tutte le direzioni, ma di lui non c’era traccia. La sua voce non veniva neanche dal violino bruciato. Mi ero immaginato tutto?
Mi accovacciai di nuovo sul terreno e mi strinsi le mani contro il petto: il mio battito era caldo e, mentre faceva defluire il sangue tiepido a tutto il corpo, mi ricordava l’abbraccio del nonno. L’unico posto in cui potevo ritrovarlo davvero, in fondo, era dentro di me.
“Hai ragione, devo rinascere dai miei sbagli. Tornerò a Cartagine, anche se vuol dire andare incontro alla morte. Sta arrivando, sì, ma l’affronterò al fianco della mia famiglia.”
Mi alzai in piedi e mi ripulii i vestiti dalla polvere del terreno. “Basta fare il codardo. Basta combinare disastri e poi scappare. Se devo morire morirò, ma se riuscissi a salvare la città, in qualche modo…”
Alzai gli occhi al cielo: adesso non sanguinava più, perché la sua ferita era stata bendata da raggi rosati e nuvole morbide come batuffoli di cotone: era guarita. Alzai le mani per afferrare la luce dell’alba, per bagnarle di quella speranza liquida che mi inondava gli occhi. E poi mi misi a correre verso Cartagine.
Avevo già perso molto e tra poco avrei perso tutto, ma il nonno mi aveva insegnato che la vita era una manciata di istanti, il nonno mi aveva insegnato che la vita era come una farfalla o come un battito d’ali, anzi, come un battito del mio cuore. Iniziava e finiva nello stesso momento. Nasceva e moriva in un solo respiro. Ma quello era un respiro di libertà.
Come una fenice, Cartagine sarebbe rinata dalle sue ceneri. Chissà se era vero. Ma io stavo ancora assaporando il mio respiro di libertà, e lo avrei terminato al fianco delle persone a cui volevo bene. Questo era tutto ciò che contava, adesso.
FINE