Se cerchiamo la definizione di ‘fair play’ online troveremo, letteralmente, il “gioco corretto”, cioè il comportamento rispettoso delle regole che garantisce le stesse opportunità ai diversi contendenti nello sport.
Ma non sono sicura che una definizione del genere possa essere esaustiva: il fair play è, infatti, la base dello sport e quest’ultimo, senza esso, non può esistere.
Tramite il fair play infatti, sin da tempi più antichi, sono stati tramandati a diverse generazioni valori fondamentali come il rispetto, l’uguaglianza e l’onestà che non si limitano all’ambito agonistico, ma che sono spendibili in generale nella vita.
Il fair play tempra infatti il carattere, aiuta a non affrontare una sconfitta e un intoppo nel nostro percorso con estrema amarezza, ma a prenderlo con filosofia e come incoraggiamento a fare meglio la prossima volta, insegna che è più importante perdere o pareggiare lealmente che vincere con l’utilizzo di doping o con mancanza di rispetto verso gli avversari.
Proprio quest’ultimo punto è fondamentale al giorno d’oggi, dato che gli episodi di razzismo nello sport sono sempre più eclatanti e frequenti: un esempio vicino a noi è stato il trattamento subito da Mario Balotelli per anni e che è culminato in offensivi cori razzisti contro il giocatore nella partita Milan-Roma.
E’ per questo importante ricordare che il fair play interessa non soltanto gli atleti, ma, soprattutto per quanto riguarda i giochi di squadra, anche gli spettatori, che si sono resi spesso protagonisti di incresciosi e pericolosi episodi di violenza negli stadi.
Lo sport, alla cui base sta il fair play, è una palestra di vita: migliora i rapporti e la qualità di vita, che sarebbe altrimenti corrosa da una costante rivalità ed invidia.
L’esempio di fair play per eccellenza, riportato dall’articolo, mostra davvero come ci sia una differenza sostanziale tra il vincere per un merito personale oppure approfittando degli sbagli o delle debolezze degli altri atleti.
E’ molto ammirevole l’altruismo dimostrato da Anaya che, con un gesto di solidarietà, spinge l’atleta Abel Mutai, che si era fermato credendo di aver già tagliato il traguardo, verso la vittoria. Anaya ha dato prova di essere non solo un grande sportivo, ma soprattutto una persona leale e integerrima che è ancora ricordata oggi per il grande gesto.
La lealtà è per l’appunto fondamentale in tutti gli aspetti della vita, ma penso che, tanto più nello sport, per avere davvero soddisfazione, sia necessario giocare pulito e accettare piuttosto una sconfitta (che potrà comunque lasciare l’amaro in bocca), che una vittoria fasulla che potrebbe essere tra l’altro scoperta in ogni momento.
Questi gesti, all’apparenza piccoli, sono ciò che davvero rende grande e appassionante lo sport, che non è una sfida, un aut aut tra vittoria e sconfitta, ma può essere molto di più e donare fortissime emozioni non solo a chi lo vive, ma anche a chi lo guarda.
Mi viene quindi in mente un altro evento recentissimo a cui ho assistito indirettamente, tramite il televisore, che mi ha fatta davvero commuovere: l’abbraccio toccante alle Olimpiadi 2020 tra Gianmarco Tamberi e Mutaz Brashim dopo la decisione di condividere la medaglia d’oro. I due saltatori, trovandosi in parità, avrebbero potuto scegliere di andare a un jump-off e sfidarsi per l’oro olimpico, ma, invece, hanno deciso di condividerlo.
Trovo che sia stato un momento magico e profondamente emozionante, che fa capire che gli atleti non sono macchine, ma sono persone capaci di sentimenti bellissimi come l’onestà, la solidarietà e la fratellanza e che proprio per questo meritano il titolo di ‘veri sportivi’
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