La giovane ginnasta che ha saputo dire “basta”
Una delle storie, a parer mio, più notevoli della storia olimpica è quella di Simone Biles, una delle più talentuose e vincenti ginnaste della recente storia americana, capace di restare sul tetto del mondo per 7 anni dal 2013 al 2019 (con tre vittorie consecutive). Nasce il 14 marzo del 1997 a Columbus. Dedicatasi sin da piccola alla ginnastica artistica, con la forza della dedizione e della volontà è riuscita a diventare l’atleta numero uno al mondo, passando attraverso non poche difficoltà. E’ alta solo un metro e quarantacinque ma Simone è un concentrato di grinta, precisione, forza e grazia. Fin da piccola si trova costretta a dover affrontare una tra le più grandi difficoltà della sua vita: una madre che entra ed esce di prigione per abusi di alcool e droga. La madre a causa dei problemi di alcol e droga non è in grado di crescerla, così viene affidata ai nonni, molto credenti: «la fede è la grande costante della mia vita assieme alla ginnastica». E’ la nonna ad approcciarla alla ginnastica artistica. Simone si innamora presto di questo sport che richiede disciplina, impegno e dedizione. Ha solo sei anni quando muove i primi passi in palestra, ma da subito capisce che può diventare una ginnasta tra le più forti al mondo. E infatti sarà così.
Questa consapevolezza comincia a farsi concreta quando si accorge di lei l’allenatrice Aimée Borman. Simone quindi è talento, sì, ma anche tanto sudore. Alla squadra nazionale arriva a 15 anni, per una ginnasta non sono pochi. «Era coraggiosa, forte, imparava in fretta, ma non era così flessibile e non era in grado di controllare la sua potenza», ricorda Aimee, sua allenatrice ancora oggi. Le mancava l’allenamento. E’ quest’ultima infatti a forgiare l’atleta nel fisico, nella preparazione tecnica, ma anche nella determinazione mentale, portandola verso le vittorie. Dai 15 anni diventano due sessioni al giorno con la scuola che le permette di studiare a casa. In tre anni 14 medaglie ai campionati mondiali, 10 d’oro e un movimento che porta il suo nome come i grandi della ginnastica: un doppio salto mortale con mezzo avvitamento in aria inventato da lei nel 2013.
Ha gareggiato fino ad ottenere 24 medaglie d’oro a livello mondiale: un fenomeno!
Oltre ad essere una grande atleta, Simon è stata inoltre inserita nel 2017 Time tra le 100 persone più influenti del mondo.
Perché? Perché ha rappresentato e continua a figurare come una delle personalità sportive più importanti per la lotta ai diritti civili degli afroamericani in Usa. Nelle sue esibizioni, utilizza brani hip hop e più volte a fine gara si è schierata contro le violenze su base razziale nel Paese, ricevendo il riconoscimento di diverse personalità come Michelle Obama.
Tuttavia, probabilmente, il suo gesto più forte lo ha fatto proprio durante le Olimpiadi di Tokyo 2020; nell’anno in cui la regina della ginnastica ha vinto meno di sempre, la rivista la elegge, infatti, migliore esempio del mondo dello sport.
Il suo merito? Di essere stata in grado di fermarsi quando ha visto la sua salute mentale in pericolo nel bel mezzo dei giochi olimpici, che dovevano essere la sua consacrazione sportiva.
Nel mezzo delle Olimpiadi di Tokyo quindi, per cui si era allenata cinque anni e che sarebbero dovute essere il culmine della sua carriera, si è fermata! Ha detto alle compagne che non era in grado di gareggiare e che non lo avrebbe fatto per non danneggiarle, ma avrebbe solo tifato per loro.
«Credo che tutto avvenga per una ragione e abbia uno scopo, non ho soltanto usato la mia voce, ma è stata anche compresa e sostenuta», ha detto la Biles. <<Se non c’è la testa, non risponde nemmeno il corpo e bisogna fermarsi.>>
Simone Biles lo ha capito nel momento più importante che è diventato il più difficile della sua carriera. «Ho i demoni nella testa, non ho più fiducia in me stessa». E ne serve tanta per volare sulla pedana del corpo libero, al volteggio, fra le parallele.
E’ ammirevole in quanto ha scelto di mettere sé stessa davanti a tutto. La regina della ginnastica, 5 volte campionessa del mondo, quattro volte oro a Rio, arrivava ai giochi come la protagonista più attesa. Ne è uscita più umana e con tanto da ricostruire.
Simone Biles, sul palcoscenico più importante, è arrivata al bivio di tanti atleti: gareggiava per gli altri, non più per sé stessa. Solo che ci metteva il suo corpo e la sua testa. Non lo farà più ed è proprio per questo l’atleta dell’anno.
Questo è ciò che probabilmente non ogni atleta avrebbe avuto il coraggio di fare, e speriamo sia da esempio a tutti coloro che soffrono mentalmente, ma hanno il timore di rivelarlo.