Il fair play a mio parere è il principio fondamentale dello sport, o almeno dovrebbe esserlo. Non è solo un comportamento sportivo, ma è necessario in ogni momento della vita, non può essere semplificato nel rispetto delle regole poiché costituisce un modo di pensare, è lotta alla diseguaglianza delle opportunità, alla commercializzazione eccessiva, alla corruzione, all’inganno e per la restaurazione della correttezza. 

Inoltre il “fair play” riconosce nello sport un’attività socio-culturale per migliorare, arricchire sé stessi e salvarsi da situazioni stressanti, violente o infelici. Personalmente non ho mai assistito dal vivo ad episodi di fair play, ma a molti episodi di “unfair play”, se così potremmo definirlo, ovvero di gioco scorretto. 

L’ “unfair play” è conseguenza di un fenomeno che non professionalmente definisco “competitività tossica”: questo aggettivo non potrà mai andare d’accordo con qualcosa di buono, giusto o sano; il fenomeno consistente nella estremizzazione della competitività, dell’agonismo e dello sport fino a perdere tutti i valori di partenza e  gareggiare con il solo scopo di vincere a ogni costo. Va da sé che questa non sana competitività può essere estesa a ogni ambito della vita ed influenza negativamente ogni aspetto riducendolo  in “vittoria” o “perdita” senza passione, etica o lealtà. 

Tutti questi comportamenti e azioni ingannevoli molto frequenti, in particolare in alcuni sport (calcio), non sono messi in atto solo dagli atleti, ma spesso più dagli spettatori che iniziano a offendersi tra loro, ad agitarsi e talvolta si arriva anche a risse più volte fatali per alcune persone.                                                        

Molto prestigioso è il premio del Fair Play alle Olimpiadi, ovvero la medaglia Pierre de Coubertain, noto anche come medaglia del vero spirito sportivo, dedicata al barone francese considerato il fondatore dei moderni Giochi Olimpici.

Fu istituita nel 1964 dal Comitato Olimpico Internazionale ed è destinato a quegli atleti che, durante i Giochi si sono distinti per lo spiccato spirito sportivo, andando ben oltre i meriti in ambito atletico e abbracciando in pieno il concetto di “Olimpismo”.  

Uno tra i tanti esempi di “fair play” alle Olimpiadi di Tokyo, si è verificato al termine della durissima gara di triathlon femminile:  la norvegese Lotte Miller, piazzatasi 24esima, ha avuto la forza e lo spirito per incoraggiare la belga Claire Michel, che, arrivata ultima a 15 minuti dalla vincitrice Flora Duffy, è crollata a terra in lacrime, ma era riuscita a tagliare il traguardo: “You are f***** g fighter!” 

Sofia Magnani
3 A Classico